Agostino Riitano, Cultural Manager, sperimenta nuovi modelli di rigenerazione urbana mediante la valorizzazione del patrimonio culturale e delle imprese creative, attivando processi di co-creazione e progetti di innovazione sociale.
Si è occupato del management culturale del progetto di rigenerazione del quartiere Rione Sanità di Napoli, nel 2014/2015 è stato coordinatore di staff dell’Assessorato alla Cultura e al Turismo del Comune di Napoli. Attualmente project manager supervisor di “Matera 2019 – Capitale Europea della Cultura”; è project manager di Rural Hub, direttore generale dell’Associazione Culturale Jazzi e direttore dell’Associazione Culturale Officinae Efesti.
Un aggettivo per descrivere Napoli
Ne ho due a cui tengo:
#infinita: un mio amico americano che viveva con me un po’ di anni fa, una sera rientrò a casa un po’ brillo e in italiano nel suo accento yankee, a un certo punto mi disse: “Sai, New York è enorme, ma Napoli è infinita.” Trovò una chiave semplice per definire la città: l’enormità di una megalopoli come New York è una dimensione, ma l’identità non-finita di Napoli la rende un posto eternamente da scoprire. A volte scopri lei e scoprendo lei scopri parti di te stesso.
#porosa: porosa è la materia che l’ha generata, il tufo che la sorregge, una materia che assorbe. Napoli dalla sua fondazione ha assorbito culture, dominatori, trasformazioni, pestilenze… assorbe ma essendo porosa rilascia, non trattiene. A volte mi piacerebbe esser poroso come lei, assorbente ma con la capacità di attivare anche un’osmosi, tra dentro e fuori.
Come vedi oggi Napoli?
Un po’ in pericolo. C’è un’euforia dopante in questo momento, legata ai flussi turistici che stanno interessando Napoli negli ultimi due anni: se non ben inquadrati in una strategia di sviluppo consapevole, rischiano di minare l’identità culturale della città. Ad esempio il processo di gentrificazione del centro storico è già in uno stadio molto avanzato, e aggiungerei irreversibile. Nel momento in cui un posto è gentrificato, si crea un danno non solo dal punto di vista della desertificazione sociale, ma anche per il rischio di perdere pezzi patrimonio culturale immateriale.
Una parte della città è in pericolo, un pericolo che non si avverte, non si urla, viene ben compensato da transizioni importanti che vengono fatti su comparti dell’economia della città come quello della ristorazione e delle attività alberghiere. Un pericolo che può essere contrastato solo con politiche pubbliche mirate e operando non in una modalità di auto-organizzazione come singoli privati ma all’interno di una strategia che preservi l’intera comunità.
Il pericolo lo vedo anche nello scollamento tra centro e periferia e nella possibilità che si delinino più Napoli in una sola città. Al contempo Napoli la vedo sempre bella, una grande signora sempre disponibile a essere amata e coccolata, Napoli si distingue per la sua vivacità culturale e non a caso è stata citata come la città con la più grande potenzialità culturale in Italia.
Qual è per te il segnale di un risveglio?
La cura. Il prendersi cura della propria città. Un risveglio è vivere lo spazio pubblico come qualcosa da rispettare allo stesso modo di quello privato. Questo è accaduto a Napoli, non in tutta la città, ma a macchia di leopardo. Oggi abbiamo comunque una città diversa rispetto a 7 anni fa.
Qual è il tuo contributo alla città?
Il lavoro che faccio è cercare di generare “visioni” all’interno di una comunità; dopo che questa comunità si rivede in questa visione il mio compito è attivare tutte quelle che sono le procedure tecniche e “letterarie” per poterla realizzare. C’è prima un processo di immaginazione collettiva e dopo, un percorso di costruzione collettiva. E questo percorso si alimenta su stesso: più costruiamo e più abbiamo voglia di costruire; ma i risultati non sono sempre gli stessi. Tutto dipende dalla persona, dalle singole persone che si trovano all’interno della comunità.
L’aggancio che genera un cambiamento, la capacità di realizzare una visione nella comunità è frutto di un’adesione interiore e di una collaborazione da parte dei singoli. Questa è la sfida che può generare successi e insuccessi. Questa è una città particolare, una città che ti mette sempre davanti a uno specchio, che genera ispirazione e che a volta ti “ammala”: credo che mi abbia trasmesso un gene strano, quello della propensione al capolavoro! Essere proteso al capolavoro significa incappare spesso nella delusione, e questa è una chiave di lettura della vita a Napoli.
Non ho mai smesso di vivere a Napoli anche se ho lavorato tanto in Italia e all’estero. Oggi mi occupo dell’attuazione del programma culturale di Matera Capitale della Cultura 2019, un’avventura iniziata nel 2014 con l’incarico nella direzione artistica del dossier di candidatura. Ora sono impegnato, con la mia collega francese Ariane Bieou, nella gestione del processo di co-creazione del 50% del programma di Matera 2019, un lavoro che coinvolge gli operatori culturali lucani e 200 partner internazionali. Questa esperienza mi ha insegnato che la cultura può trasformare profondamente il presente e il futuro di un intera comunità.
Il mio rapporto con il territorio campano, anche se sono nomade di natura, resta fortissimo. In questi anni dirigo il progetto di ricerca-azione Jazzi, radicato nel territorio del Cilento. Il programma prevede il recupero dei percorsi lenti e dei sentieri, la rigenerazione degli jazzi e il soggiorno notturno attraverso il loro riuso. Il progetto promuoverà le attitudini del territorio, del paesaggio e del capitale sociale locale, stimolerà investimenti, in particolare sulle potenzialità inespresse del territorio.
Infine c’è Officinae Efesti, è l’organizzazione culturale che ho fondato nel 2003 e che si occupa, soprattutto a Napoli e al Sud Italia, di produzione culturale e innovazione sociale. Ha organizzato e generato progetti creativi in area Euro-Mediterranea, in particolare rivolti ai linguaggi espressivi dell’arte. Per il 2018 il team di Officine Efesti ha in serbo nuove line di attività anche in vista dell’anno Europeo del Patrimonio Culturale.
In questa Città ho sperimentato esperienze, forme di aggregazione, prodotti culturali e nuovi modelli di gestione del patrimonio culturale e dei beni comuni. Oggi il mio contributo è essere pronto a raccogliere sfide inedite e generare nuovi scenari. Quello che mi sta più a cuore in questa Città è lavorare a progetti che creano una relazione tra educazione, cultura e sviluppo.
IerI, oggi, domani…cosa è cambiato e cambierà?
Mi viene da citare il dialogo di Massimo Troisi in “No grazie il caffè mi rende nervoso” con la voce che lo perseguita nello sketch “Funiculì, funiculà Napoli adda cagnà”…Lui: “ Ma a me sta bene così, perchè deve cambiare? Non può cambiare Mantova, Rovigo, Aosta…!” Questa città è un corpo vivo, e come tutti i corpi vivi è in costante processo trasformativo, a volte le trasformazioni sono evidenti, a volte sottili con esiti che esplodono dopo tempo.
Cosa cambierà? Ho paura che cambi verso Nord e non verso Sud: Napoli è una città mediterrenea che si sta ispirando a modelli che non le appartengono o che vedo difficilmente calabili qui.
Perché una Napoli al Giorno?
Perché dato che è infinita la puoi vivere infinite volte.