Arrevuoto: teatro e pedagogia vivi e irriverenti che scuotono la città

Arrevuoto, un progetto di teatro e pedagogia irriverente che abbatte barriere e differenze tra centro e periferie della città. Un percorso laboratoriale con spettacolo finale che coinvolge circa 200 ragazzi ogni anno e che nasce dall’ascolto e dalla sinergia tra artisti, scuole e associazioni napoletane.

Arrevuoto giunge alla tredicesima edizione. Il 12 e il 13 maggio il debutto al Teatro San Ferdinando di Napoli. I ragazzi stanno facendo le ultime prove. Tutto pronto per donare al pubblico tutta l’energia messa in circolo in diversi spazi della città, da novembre fino ad ora, nella preparazione di Knock o il trionfo della medicina, spettacolo sul testo di Jules Romains, un affondo/provocazione sulla medicalizzazione della società.

Foto di Stefano Cardone

La nascita di Arrevuoto

Abbiamo incontrato Maurizio Braucci, direttore artistico di Arrevuoto, di professione scrittore e sceneggiatore per il cinema.

“Arrevuoto è un progetto che nasce tredici anni fa, finanziato e voluto dal Teatro Stabile di Napoli, con il proposito di attivare una unione tra teatro e pedagogia. Siamo nel 2005, l’anno della grande faida di Scampia. Partiamo dal binomio centro/periferia e iniziamo a lavorare con ragazzi dai 10 ai 17 anni, appartenenti a “biografie” differenti, ovvero contesti socio-culturali di provenienza molto diversi tra loro, e spesso molto complessi.

Lavoriamo insieme a scuole e associazioni in diversi quartieri della città, Quartieri Spagnoli, Montesanto, Doganella, Santa Chiara, Posillipo, Rione Traiano, Scampia.

La regia teatrale ha una natura collettiva: non uno ma più registi lavorano insieme alla produzione dello spettacolo, quest’anno 10, divisi per coppie e referenti per diversi gruppi. I gruppi lavorano in autonomia per poi incontrarsi e proseguire insieme la creazione di quello che diventa lo spettacolo finale, la fine di un percorso che prende vita e forma in situazioni di forte emergenza e spesso di carenza di strutture. Quest’anno avremo in scena la carica energetica di 160 ragazzi che entreranno e usciranno di scena, accompagnati da momenti musicali a cura di diverse scuole di musica giovanili.”

Foto di Stefano Cardone

Oltre i pregiudizi e con la semplicità del talento

“Arrevuoto è un progetto di grande forza, che dà la possibilità agli artisti di dare una mano alla città e ai ragazzi di vivere nuovi incontri, conoscere altre parti della città, smitizzare…togliere pregiudizi. Sono i ragazzi il fulcro di tutto: il nostro non è un teatro autoritario, noi non diamo le parti, ma tendiamo ad ascoltare e ad acquisire i loro input, spesso il loro talento, e gli diamo spazio. I ragazzi scuotono animi, pensieri e azioni.

La storia di Arrevuoto è costellata di racconti ed esperienze meravigliose che ci regalano la prova che le cose possono cambiare: i ragazzi hanno una grande semplicità sia nelle loro problematiche che nel loro talento: diventati adulti molti ragazzi hanno incominciato ad aiutarci, spesso quelli che facevano più “ammuina”! Tanti di loro sono diventati professionisti o proseguono la loro formazione, ad esempio come i ragazzi di Punta Corsara.

I ragazzi parlano alla città con la loro modalità, esprimono una vitalità ben diversa da quella relativa al rendimento scolastico. Direi scherzosamente (ma non del tutto) che Arrevuoto è un progetto di recupero per teatranti. E che, molto più dei ragazzi, spesso siano problematici gli adulti.

Immaginate quando andremo in scena. Quest’anno andranno sul palco quasi 200 ragazzi e le loro famiglie saranno lì a vederli: ci sarà magia e grande emozione…”

Foto di Stefano Cardone

La mansuetudine è figlia dell’insicurezza

“Napoli ha parecchie problematiche giovanili, e giocoforza è divenuta esperta di importanti esperienze pedagogiche. Il nostro contributo è lavorare sul potenziale di cambiamento, noi cerchiamo di ringiovanire una città ancora troppo senile, retriva. Ritengo che ci sia ancora tantissimo lavoro da fare, il cambiamento non ha toccato ancora la dimensione “popolare” della città, che vedo ancora scandalosamente immutata, con una tecnologia che spadroneggia ma che non si accompagna a un incisivo percorso di alfabetizzazione.

Se penso a Napoli, penso alla mansuetudine, non alla violenza: mi piacerebbe che ci fosse più decisione nel ribellarsi alla mancanza di diritti fondamentali: la mansuetudine può esser figlia dell’insicurezza. È la storia degli oppressi, che non credono in se stessi, è una storia che viene dal passato e che sarò felice di vedere con un epilogo diverso in futuro.”

Foto di Stefano Cardone

Un aggettivo per descrivere Napoli?

Contraddittoria.