Immersa tra orti e vecchi pescheti, dopo vent’anni di abbandono e abusi, la Masseria ha restituito un pezzo di terra ad Afragola. Una sfida che coinvolge tutta la comunità: cittadini, donne, scuole, giovani e imprenditori.
Abbiamo incontrano Gianluca Torelli, della Camera del lavoro Cgil di Napoli, che ci ha raccontato la storia della Masseria Ferraioli e ci ha fatto visitare gli spazi della struttura. Dalle parole dell’intervista a Giovanni Russo dell’associazione Sott’e’ncoppa emerge invece la visione concreta di questa sfida ambiziosa, consapevole del difficile cambiamento culturale e sociale da affrontare.
Antonio Esposito Ferraioli faceva il cuoco della mensa dell’azienda FATME a Pagani, e il 12 aprile 2017 venne riconosciuto “vittima della criminalità organizzata”. È morto il 30 agosto 1978 in piena notte, sotto casa, freddato da una scarica di colpi di lupara. La sua colpa era stata quella di essere un sindacalista, uno di quelli a favore dei diritti dei lavoratori, per aver indagato sull’uso di carne di provenienza sospetta all’interno della mensa e altre magagne simili.
La memoria del Bene che si sacrifica sul Male non deve restare un sentimento nostalgico, ma deve spingere le azioni di una comunità locale a invertire la rotta, a riprendersi dignità e diritti, a lottare sullo stesso terreno del nemico in modo diverso e produttivo.
La Masseria Antonio Ferraioli di Afragola che porta il suo nome è il simbolo tangibile di questa sfida, è l’inizio di un incontro e di un dialogo tra diversi attori di quel territorio tanto martoriato che hanno tirato fuori le unghie per strappare questo bene alle mafie e riconsegnarlo ogni giorno alla fruizione dei cittadini. Per farci qualcosa di buono e di produttivo anche a livello economico, perché i soldi devono continuare a girare, purché siano di coscienze pulite.
Un percorso travagliato e l’incontro con i cittadini
La Masseria era stata sepolta sotto una coltre di oltre venti anni di abbandono e incuria, era stata occupata abusivamente a vario titolo da più persone. “A nostro parere, forse un prestanome del clan ne aveva coltivato il suolo versando anche un canone al vecchio ‘proprietario’ al quale è stato confiscato, o forse era stata occupata anche per usi abitativi transitori”, Giancarlo ne parla come di un brutto sogno che si vuol presto dimenticare. La Masseria Antonio Ferraioli è un ex bene della Camorra confiscato e affidato ufficialmente il 1 marzo 2017 a una ATS (associazione temporanea di scopo), vincitrice e assegnataria della struttura grazie a un bando emesso dal Comune di Afragola nell’estate del 2015.
“Partecipammo al bando con cinque organizzazioni: il Consorzio Terzo Settore come capofila, la Cooperativa sociale Giancarlo Siani, la Cooperativa sociale L’uomo e il legno, la Cgil di Napoli e l’Associazione Sott’e‘ngoppa. È una compagine ampia con soggettività di tipo diverso che operano su fronti differenti”, ma l’unione fa la forza e questo credo non deve mai passare di moda perché è la risposta più efficace all’isolamento e alla paura con cui operano le organizzazioni criminali.
Informato sull’uscita del bando, Giancarlo ne aveva parlato con i rappresentanti dell’Associazione Libera Campania con cui era in contatto da anni: “Spiegai agli amici di Libera l’interesse da parte di Cgil a gestire, non tanto la parte agricola, quanto quella sociale cioè la possibilità di coinvolgere i cittadini e la restituzione del territorio, e chiesi loro di aiutarci a costruire una rete per completare l’affidamento del bene”. Il bando era uscito il 5 agosto 2015 e nell’arco di tre mesi, grazie ad assemblee e incontri pubblici finalizzati alla raccolta di idee per il progetto, si erano presentate numerose realtà interessate. Ad oggi, oltre ai cinque partner principali, sono coinvolti in modo proattivo soprattutto gli “attori del territorio” afragolese (scuole, parrocchie, circoli sportivi, associazioni socio-culturali ecc) predisposti da subito a un percorso virtuoso. Chi ne voleva fare solo oggetto di lucro o speculazione è stato prontamente estromesso.
Dal novembre 2015 trascorse un anno e mezzo di complicato iter burocratico, ma una volta ottenuta l’assegnazione l’Ats ha ripreso quello stesso percorso di coinvolgimento sperimentato a inizio del bando per fissare gli obiettivi del progetto: ristrutturare lo stabile, avviare una filiera agricola, realizzare un agriturismo e un laboratorio di trasformazione dei prodotti, favorire l’inserimento lavorativo delle donne vittime di violenza, allestire aree verdi e frutteti, attività con le scuole ecc.
“La cosa sorprendente è stata il forte input arrivato proprio dai cittadini durante le assemblee partecipate”. È la prima volta che accade nella gestione di un bene confiscato: Afragolesi, residenti dei paesi limitrofi e dell’area metropolitana di Napoli sono stati coinvolti in laboratori di progettazione partecipata mensili per proporre idee sull’utilizzo dei 120 mila metri quadrati dell’immobile confiscato. “Questo posto appartiene a loro. Li abbiamo voluti invitare per farci dire cosa avrebbero voluto fare della struttura, cosa avrebbero voluto aggiungere rispetto a quanto noi avevamo fissato sulla carta.”
Una filiera agricola guidata dalle donne
Bisognerà partire ristrutturando anzitutto il corpo di fabbrica, e per fortuna c’è un riconoscimento dal PON Legalità Ministero dell’Interno.
Il piano superiore verrà destinato a casa di accoglienza per le donne vittime di violenza che, prive di un’indipendenza economica dal consorte o di un tetto dove riparare, troveranno comunque il coraggio di fuggire di casa: “Proprio a causa di questi limiti, molte di loro non denunciano le violenze subite. Noi invece vogliamo offrire un appoggio immediato, che sarà valutato di volta in volta in base alla disponibilità e alla gravità dell’emergenza”. La visione della Masseria Ferraioli come un’impresa sociale si sta impostando su una direttiva tesa proprio a sanare l’incapacità economica di queste donne, a renderle libere di rifarsi una vita, a inserirsi nel mondo del lavoro con una nuova dignità.
Al piano inferiore − dove sono previsti la biblioteca e un negozio per vendere i prodotti realizzati nella Masseria − sarà allestito un bar gestito da donne, non solo quelle ospitate nella casa di accoglienza, ma anche quelle che costituiranno il nucleo dell’impresa sociale. A marzo infatti è stato avviato un corso di formazione da cui ne saranno selezionate dieci che si occuperanno di commercializzare e distribuire i prodotti della Masseria, sia attraverso un partenariato con Costa Crociere (che finanzia il progetto) sia attraverso una rete, già in costruzione, con gruppi di acquisto solidale e con l’apertura di un portale e-commerce per consegne a domicilio. “Sarà una completa filiera all’interno dei confini del bene confiscato: i prodotti verranno coltivati nei campi, trasformati nei laboratori e consegnati a domicilio a chilometro zero, garantendo qualità biologica.” Poi ci sarà una sala convegni, l’agriturismo e i laboratori di trasformazione.
La competizione commerciale è spietata, ci confessa Giancarlo: “Fare oggi agricoltura di qualità significa trovare strade alternative rispetto a quelle della grande distribuzione che ti strozza e ti costringe al ribasso sia del prodotto sia del lavoro delle persone coinvolte”. Lo sfruttamento del lavoro è una delle principali fonti di ricchezza per le imprese malavitose e il contesto da cui è stata salvata la Masseria Ferraioli vive ancora in questa situazione. Ecco perché Giancarlo Torelli, Giovanni Russo e i partner dell’Ats vogliono provare a tracciare un confine diverso, augurandosi che questo modello di economia sociale autonoma possa diventare appetibile anche per altre piccole imprese del territorio “interessate a inserirsi nella nostra filiera di commercializzazione, previa adesione a un disciplinare che garantisca qualità dei prodotti e soprattutto del lavoro”.
Passeggiando nell’area agricola con Giancarlo, ci rendiamo conto anche di quanto sia effettivamente complicato ripartire dopo venticinque anni di abbandono: “Un pescheto ha subito un incendio doloso, un altro ora è in cura per debellare un’epidemia di armillaria e un terzo offre una minima produzione, ma sono quasi tutti alberi vecchi, forse andranno abbattuti e ripiantati”.
Orti urbani, campi estivi e filari della “memoria”
Oltre a un’area incolta che sarà destinata a prato per gli eventi e per il tempo libero, a un’area di parcheggio e a tante altre piccole aree ancora libere da sfruttare, ci sono gli Orti Urbani che meritano un discorso a parte. Essi sono il frutto di quelle assemblee partecipate proposte in attesa dell’assegnazione del bene che hanno dato voce alla idee dei cittadini: circa 10 mila metri quadrati di terreno sono stati affidati a 107 attori, tra associazioni, cittadini e scuole, alcuni dei quali già attivi, altri in fase di prova. Questi affidatari sono ormai diventati una comunità di persone a cui viene riconosciuta la responsabilità delle decisioni e delle scelte per la gestione della Masseria: “La comunità è grande, è un processo di tipo partecipativo e noi ci poniamo solo come controllori. − chiarisce Giancarlo − Loro hanno scritto le regole e devono esserne i garanti. Sono cresciuti per troppo tempo in un meccanismo vizioso in cui se uno infrange la regola, anche l’altro si sente autorizzato a farlo; la sfida è invertire questa tendenza con un rinnovamento mentale e culturale, crediamo nel dialogo, e non nella forza, come strumento per far comprendere il valore della correzione”.
Nel frutteto del Museo della biodiversità, un’altra comunità di aziende e contadini sta lavorando al recupero della memoria della storia agricola e contadina di Afragola, rinverdendo cinque ettari di terra con tante specie diverse autoctone del territorio, di cui molte erano a rischio di estinzione. All’interno del frutteto, un percorso narrativo didattico costruito in collaborazione con il Presidio di Libera di Casoria-Afragola e con le scuole del territorio, conduce i bambini tra alcuni filari intitolati alle vittime innocenti della camorra di Afragola, insegnando loro, non solo il recupero del patrimonio agricolo, ma anche il valore di uomini e donne che sono morti in nome della “resistenza contro la violenza”.
Altri campi invece rientrano nel programma E!State Liberi a cura di Libera Associazione: dal 28 giugno, per sei settimane, arrivano circa 150 giovani tra ragazzi e ragazze, impegnati nella Masseria tra volontariato, lavori di piccola manutenzione negli orti e nel pescheto e attività di formazione sulle tematiche del caporalato, della violenza di genere, dei beni confiscati e sulla memoria delle vittime delle mafie.
La comunità come luogo osmotico
È importante, di fronte a tutto questo, restare con i piedi per terra, guardare in faccia ai problemi e rendersi conto che dedicarsi a una missione costa fatica e compromesso con sé stessi. Non chiamateli eroi, dunque, perché “abusano di questa parola per dipingerci” ci confida Giovanni Russo ad apertura di intervista. “Tutto questo è un carico di lavoro e di responsabilità importante che ci assumiamo. Se oggi si critica molto l’individualismo e la mancanza di socializzazione accelerata dalle tecnologie digitali, rendiamoci conto invece che stiamo perdendo la battaglia della legalità. Se da un lato vogliamo lanciare una sfida alla Camorra e vincerla sullo stesso terreno, se vogliamo riappropriarci di una socialità che metta al centro la dignità del lavoro, bisogna partire dalla giuste retribuzioni, e questo oggi è difficilissimo farlo, forse impossibile, se non si pensa di elaborare strategie alternative di carattere comunitario”.
Ecco perché solo l’unione fa la forza (vedi la progettazione partecipata): “La nostra comunità conta ben 107 ortolani, rendiamoci conto che ognuno ha i propri percorsi di vita, non è facile mettere tutti d’accordo. In questo senso è un obiettivo ambizioso”. Giovanni vede la sua comunità come un fortino, non chiuso per difendersi o attaccare, bensì come “un luogo osmotico per tutti” che accoglie e accetta anche le critiche. “Iniziamo a riscrivere la storia di un territorio cancellando la memoria nera dei clan e sostituiamola con il nuovo racconto delle vittime della criminalità, partendo dal nostro Antonio Esposito Ferraioli. La memoria del passato deve fortificarci ma non indurirci alzando muri.”
Le prospettive per il futuro e la situazione di Napoli
Socialità, confronto costruttivo e obiettivi ambiziosi da conquistare per gradi. Sono questi i tre punti su cui l’Ats della Masseria Ferraioli lavora, rafforzando e allargando la propria comunità. L’obiettivo più ambizioso entro i prossimi due-tre anni è “riuscire a far rivivere il bene confiscato non solo con la ‘partecipazione’, ma anche con la forza e l’economia di una vera impresa (sociale)”.
Se nell’immaginario collettivo la criminalità occupa i posti vuoti lasciati dalle debolezze e dall’assenza dello Stato, secondo Giovanni, “scendere sul terreno della Camorra − laddove prima si recuperavano trattori rubati, si chiedevano estorsioni, raccomandazioni per i figli e piaceri personali − significa oggi far rinascere quel luogo partendo dalla centralità del socializzare e del lavoro dignitoso, e puntare su 70 unità lavorative in vari settori produttivi che inneschino circuiti di lavoro e socialità”.
Giovanni ha girato mezzo mondo e si sente orgoglioso di elogiare i napoletani: “L’arte di arrangiarsi è croce e delizia di Napoli, perché ‘rimboccarsi le maniche’ è veramente una marcia in più, ma può declassare in disorganizzazione e insuccesso se mancano strumenti e visioni. Un nuovo protagonismo sociale emergente dal basso e il riappropriarsi dei legittimi flussi turistici sono aspetti positivi, ma tutto questo lancia nuove sfide che la città non riesce ancora a gestire, anzi rischia di essere travolta. La percezione del pericolo arriva purtroppo sempre all’ultimo momento quando il problema si è già aggravato. C’è assenza di programmazione, viviamo alla giornata, e la responsabilità deve essere sentita da tutti, anche da noi associazioni e terzo settore. Iniziamo a nominare i problemi: è il primo passo per risolverli, anche se ciò non basta. E riflettiamo guardando al lungo periodo, non a episodi spot”.
Un aggettivo per Napoli?
Splendente.
Di Giovanni Postiglione, a cura di Michela Palmieri